Renan et l’Italie / Renan e
l’Italia[1]
Questo testo vuole essere un resoconto della Giornata internazionale di
Studi organizzata dall’Università di Brest, dal Gabinetto Vieusseux e dalla
Società degli Amici dell’Istituto Francese di Firenze. L’incontro epocale,
tenutosi nella Sala Ferri di Palazzo Strozzi il mercoledì 4 maggio
Su queste tracce il gruppo ‘francese’ si è mosso materialmente per giungere a Firenze, da cui è ripartito per altre città seguendo i percorsi intrapresi da Ernest Renan nel Bel Paese.
L’arrivo, nella primavera scorsa, dei ‘francesisti’, di cui faceva parte
anche Iphigénie Botouropoulou dell’Università di Atene, era stato anticipato da
un’‘ambasceria’ di Maurice Gasnier, professore all’Università di Brest, che
avevamo ricevuto con piacere nel quadro reale e simbolico di un altro dei
luoghi privilegiati per le relazioni internazionali nel capoluogo toscano
rappresentato dall’Institut Français de Florence. In quell’occasione, era il 27
ottobre del 2008, il quattrocentesco palazzo Lenzi di Piazza Ognissanti, sede
dell’Istituto, aveva ospitato, sempre in sinergia con il Gabinetto Vieusseux e
con l’Associazione degli Amici dell’Istituto Francese, la presentazione del
terzo volume della Correspondance
générale di Renan (Paris, Champion, 2008), curato dallo stesso Gasnier. Il
libro mostra, tra l’altro, la vasta rete di contatti stabilita da Renan sul
suolo italiano negli anni tra il 1849 e il 1855. Coordinata da Anne-Christine
Faitrop-Porta, tale presentazione, con l’intervento di chi scrive e di
Alessandro Gori dell’Università di Firenze, è la punta di iceberg di un ritorno
d’interesse da parte di studiosi
francesi e italiani (e non solo) per l’apporto che la nostra cultura ha dato
alla formazione di Renan nonché per la ricezione delle sue opere e del suo
pensiero nel nostro paese. Nella mia recensione alla Correspondance in “Antologia Vieusseux”, 43, gennaio-aprile 2009,
pp. 210-215, avevo voluto segnalare o ricordare l’esistenza di tante piccole
tessere di un vasto mosaico tutto da costruire o ri-costruire che rappresenti,
una volta rimontato, l’insieme delle
tracce materiali e immateriali della ‘fortuna’ di Renan in Italia, quali, per
esempio, a diverse altezze cronologiche: le Letture
popolari sulla Vita di Gesù di
Ernesto Renan, di Padre Alessandro Baroni, testo stampato a Livorno per i
tipi di F. Vigo nel
L’anno 1852 della lettera a Giovan Pietro Vieusseux, prossimo all’anno 1849, nel quale Renan intraprende il suo primo viaggio in Italia, lo scambio epistolare con il fondatore del celebre Gabinetto fiorentino e suo genius loci, la fascinazione dello scrittore e filosofo francese per Leopardi, altro genius loci del Gabinetto Vieusseux, e per il suo Infinito, così come evidenziato dalle ricerche di Faitrop-Porta, sono stati all’origine della scelta della cornice della Sala Ferri in Palazzo Strozzi come sede emblematica in cui dovevano svolgersi i lavori della Giornata internazionale di Studi dedicata a Renan et l’Italie/ Renan e l’Italia.
Nove i relatori convenuti. Quattro i communiquants del mattino.
Dopo i saluti di Maurizio Bossi del Gabinetto Vieusseux[2], la presidenza è stata assunta da Anne-Christine Faitrop-Porta (Professeur des Universités), a cui si devono importanti pubblicazioni concernenti il rapporto intrattenuto da Renan con i luoghi e l’intellighentzia italiani.
Ha aperto i lavori Jean Balcou, professore dell’Università di Brest che dirige l’importante progetto di pubblicazione della Correspondance générale di Renan, con una relazione intitolata Patrice, fragments romains du moi imparfait.
Patrice, romanzo concepito a Roma fra il dicembre del 1849 e l’aprile del 1850, è considerato da Balcou un testo fondatore del pensiero (complessità e imperfezioni dell’io preannunciate nel titolo della comunicazione) e della scrittura renaniani (importanza del frammento, anch’essa sottolineata già nel titolo).
Nella città eterna, afferma il
critico, Ernest Renan compie la sua propria rivoluzione nella maniera di vedere
e di sentire il mondo.
Auto(bio)grafia intellettuale e spirituale dell’autore che avanza mascherato nelle vesti di Patrice, questo testo rivela il giovane bretone a se stesso. A contatto con Roma, come il suo personaggio-alter ego, Renan si scopre essere un cerebrale impotente, uno spirito critico distruttore, un uomo che non conoscerà mai l’amore. Nella capitale del cristianesimo il filosofo compie, appunto, la propria rivoluzione cambiando le sue maniere di vedere e di sentire. In questo senso, sottolinea Balcou, la nozione di “frammento” è significativa sia a livello della scrittura (frammento di romanzo) che di pensiero (tutto è frammento nel mondo e il dramma deriva dal credere che il frammento è un assoluto). Incontro modernissimo di vari generi: dal racconto, al romanzo epistolare, al diario intimo, la scrittura di Patrice appare a Balcou come uno strumento terapeutico per curare il male del secolo di cui è indubbiamente affetto Patrice-Renan: l’essere troppo critico, l’eccesso di scienza e razionalità uccidono la giovinezza, la poesia, l’amore. Il testo ‘frammentato’ ben evidenzia a sua volta la frammentazione dell’io di Patrice-Renan a seguito del soggiorno nell’urbe dove entrambi, autore e personaggio, scoprono l’imperfezione, legge della natura, forza creatrice. Lo spirito del sistema lascia il posto ai frammenti del sistema che si armonizzano pur restando tali, al caleidoscopio del mondo. “Autofiction” Patrice gioca sui punti di vista, sui destinatari (Cécile, i lettori contemporanei e odierni?), sull’io del narratore che si sdoppia, sulla presenza dell’autore, a indicare il legame intrattenuto da Ernest con il suo personaggio a cui è vicino, fino a sovrapporvisi, e da cui prende le distanze (anche in relazione al tempo della fabula), in un movimento contraddittorio, riflesso più o meno diretto dello stato d’animo di Renan.
Venuti a Roma per sfidarla sul campo del cattolicesimo da cui Ernest si è allontanato, autore e protagonista del romanzo si aprono alle sensazioni: il bel cielo, il bel sole, la nonchalance dei romani. Roma è fatta per l’amore inteso come ideale. La città eterna è donna; il cattolicesimo è donna ed è legato alla manifestazione dell’eros e dell’arte che dell’eros partecipa. Certamente Patrice non si converte; scettico in Francia, a Roma è cattolico (in quanto poeta del cuore e dell’anima) pur continuando a non credere al cattolicesimo vaticano.
Segue la relazione di Maurice Gasnier (a cui si deve la cura del terzo volume della Correspondance générale), che dedica il suo intervento al “côté de l’art”, così lo definisce lo stesso Renan, della poliedrica personalità dello scrittore e pensatore bretone. In lui, l’arte, consolatrice, sostituisce la religione perduta. Insieme all’arte, il sole, la luce del paesaggio italiano permettono al giovane bretone di uscire da se stesso. L’Italia è anche per Gasnier alla base di una rivoluzione interiore nel suo modo di vedere e sentire.
Nella comunicazione, intitolata
L’osservazione dell’oggetto d’arte (nello specifico la rappresentazione di Averroè) serve in realtà a questo razionalista che si fa critico come rivelatore della sua sensibilità. Funziona da strumento di anamnesi che lo conduce una volta di più a meditare sul proprio io in rapporto alla propria evoluzione religiosa. La scelta, ben informata e documentata, delle raffigurazioni del filosofo di Cordova, dall’Orcagna del Camposanto di Pisa, al Traini della chiesa pisana di Santa Caterina, al Taddeo Gaddi del fiorentino Cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella, al Benozzo Gozzoli del Louvre, non è neutra. Adotta, e propaga con i suoi scritti, l’immagine di un Averroè eretico, emblema dell’incredulità. Tale scelta tradisce la situazione di Renan fuori dalla Chiesa fino ad esserne da lei combattuto. L’Averroè di altre rappresentazioni come quella delle raffaellesche stanze vaticane (Stanza della Segnatura) in cui il filosofo arabo appare ‘integrato’ a pieno titolo tra gli altri grandi filosofi della civiltà europea è taciuto dal giovane ricercatore. C’è una volontà di negare la visione di un Averroè saggio tra i saggi.
I commenti alle succitate immagini, bisogna dire, non sono mai tecnici ma esclusivamente filosofici.
Le note di viaggio sono interessanti per le sensazioni di Renan che esse ci comunicano piuttosto che per la storiografia della critica d’arte. Le stesse note dall’andamento paratattico sono per questo prossime alle emozioni immediate del riguardante, non razionalizzate, non sistematizzate. Come ha fatto osservare Anne-Christine Faitrop-Porta al momento della discussione, Renan prende personali, nette, posizioni nei confronti delle opere oggetto della sua osservazione. Si lascia alle spalle i pregiudizi critici come quando a Santo Stefano Rotondo esalta gli affreschi del Pomarancio, bistrattati dalla critica, mettendone in luce i contenuti al limite del sadismo: i crudeli supplizi neroniani inflitti ai martiri di Cristo. In quel contesto il suo sguardo di “genio oscuro dell’800” si fonde con quello dell’imperatore folle nell’esaltazione del sangue. Il che conferma la completa soggettività della sua visione dell’arte che concorre alla costruzione della sua nuova o diversa identità sul suolo italiano in contrasto con le teorie e i giudizi artistici imperanti a quell’altezza cronologica nella critica d’arte e nelle guide di viaggio.
A Iphigénie Botouropoulou dell’Università
di Atene, che nel
Iphigénie Botouropoulou termina il suo intervento con la lettura di una
lettera datata 1885 e da lei ritrovata, scritta da Michele Amari a Jean
Psichari, che contiene riferimenti a Renan e alla sua famiglia, tassello ulteriore
di quel grande mosaico in ri-costruzione le cui tessere sono raccolte da Jean
Balcou e dai suoi collaboratori allo scopo di mettere a punto
Conclude le relazioni del mattino la comunicazione di Jean-Paul Clément,
professore all’Istituto Cattolico di Parigi, su Renan et Saint François d’Assise. Clément vi evidenzia il fatto che
Ernest Renan, pur avendo perduto la fede, è rimasto profondamente religioso, sensibile
al comportamento indipendente, addirittura contestatario, dei santi e in
particolare di San Francesco, del quale il filosofo mette in risalto il
rapporto immediato con la natura, il rifiuto di ogni ricchezza materiale, il porsi al di sopra dei conflitti del suo
tempo che opponevano guelfi e ghibellini. Per il suo entusiasmo, per la sua
poesia ingenua, per gli slanci del cuore, per la sua povertà voluta e
sostenuta, Francesco d’Assisi incarna agli occhi di Renan la “categoria
dell’ideale” normalmente perseguita in altri modi da chi ricerca la saggezza.
Nelle Nouvelles études historiques, in particolare, Ernest Renan sottolinea il
grande contributo di Francesco alla costruzione dell’identità europea nonché
alla costruzione dell’identità dello stesso autore, che del santo assisiate
tratteggia un significativo ritratto -straordinariamente a lui stesso
somigliante- nelle Etudes d’histoire
religieuse. Francesco è per Renan l’eroe dell’ideale di cui va
costantemente alla ricerca e che consiste fondamentalmente nella ‘depossessione’
di tutti i beni materiali, che la borghesia accumula e ha accumulato: ‘depossessione’
sintetizzata in maniera chiara e insieme sublime nel gesto politico, morale e
religioso rappresentato da Francesco che si spoglia degli abiti che indossa e
che sono di ‘proprietà’ del padre per rimanere nudo nella cattedrale di Assisi.
Ernest e Francesco sono uniti nella ‘depossessione’, nel rifiuto del pensiero
‘borghese’, nell’esaltazione della natura così come è poeticamente quanto
ingenuamente descritta nel Cantico delle
creature. Una natura di cui l’uomo ha solo l’“usufrutto”, che non è di sua
proprietà: per Renan manca di poesia il paesaggio chiuso dalla “clôtures”, dai
segni delle proprietà che lo delimitano. Il verde, libero, paesaggio umbro
partecipa invece del “rinverdire” del cristianesimo ad opera del Santo. I Fioretti sono un nuovo Vangelo, quella
terra
L’incontro è proseguito nel pomeriggio sotto la presidenza dello scrivente.
Cinque le relazioni.
La prima relazione è stata presentata de Valentino Petrucci dell’Università del Molise. A lui si deve il volume Il mercante di ellèboro. Un’introduzione a Ernest Renan, pubblicato da Rubbettino nel 2007, dove si fa riferimento a quelle che i contemporanei consideravano le proprietà tossiche (ovvero pericolosamente scettiche) che la biografia di Gesù iniettava nelle vene della cultura francese. Tra gli altri suoi scritti consacrati al filosofo di Tréguier, Petrucci ha recentemente pubblicato nel n° 1 di “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, aprile 2011, un interessante articolo sull’ateismo di Renan: “Tutto è possibile, anche Dio”. L’ateismo di Ernest Renan, che indica la continuità del suo impegno in favore della ri-scoperta di Renan nell’ambito accademico italiano. Accanto a lui possiamo citare, quali altri rappresentanti di questo ‘progetto’ culturale, la professoressa Anne-Christine Faitrop-Porta, straordinario passeur di cultura renaniana fra Italia e Francia, e il gruppo di studio e ricerca che ruota intorno al professor Giuliano Campioni dell’Università di Pisa del quale fanno parte gli stessi Francesco Petruzzelli e Domenico Paone qui convenuti.
Anch’egli ospite del Convegno di Atene, in cui è intervenuto con un Renan et il Collège de France, al Vieusseux Valentino Petrucci ha parlato di Renan et Le Prêtre de Némi, il terzo dramma composto da Renan dopo Caliban (1878), riscrittura della Tempesta shakespeariana, e L’eau de Jouvence (1880), suite del Caliban. Pubblicato nel 1885, Le Prêtre de Némi s’ispira, com’è noto, ad una antico e feroce culto di Diana praticato a Nemi, del quale in quegli stessi anni si occupava l’antropologo James Frazer che svilupperà il tema nel famoso Ramo d’oro. Durante il suo intervento Valentino Petrucci ha stabilito un parallelo tra questa vicenda e la situazione interiore del filosofo Renan nel periodo in cui redigeva la pièce. In questa prospettiva è utile ricordare che nella fabula colui che aspirava a diventare il sacerdote del tempio di Diana doveva uccidere il sacerdote in carica, carica che manteneva finché qualcuno di più forte o di più astuto non ne prendeva il posto uccidendolo a sua volta. Un’attrazione per la violenza e il sangue, questa, che secondo quanto sottolineato da Faitrop-Porta durante la discussione, è da collegarsi alla fascinazione che Renan prova davanti alle scene nelle quali, in Santo Stefano Rotondo, il Pomarancio ha dipinto il sacrificio cruento dei martiri cristiani.
Un sacerdote riformatore, Antistius, decide di porre fine al rito sanguinario che si svolge sul lago di Nemi: scaccia, senza ucciderlo, il suo predecessore e tenta di instaurare una nuova religione fondata sugli ideali di giustizia e di fraternità. Così facendo scontenta sia l’aristocrazia che la borghesia e il popolo, i quali non si sentono più protetti dalla dea al momento di muovere guerra contro i romani. Un bandito di nome Casca ristabilisce il precedente rituale: uccide il sacerdote ‘liberale’ e ne assume la carica. Secondo Petrucci, il dramma di Antistius riflette lo stato d’animo di Renan a metà degli anni 1880 e in particolare le sue delusioni: facendo sua una riflessione del Thibaudet dell’Histoire de la littérature française a proposito della tragica vicenda di Antistius, lo stesso Petrucci afferma che l’intreccio renaniano rende bene l’idea delle grandi difficoltà che accompagnano l’avvento della ragione, del buon senso e dell’umanità. Secondo Petrucci, Le Prêtre de Némi è il più originale dei drammi renaniani in quanto meglio riflette il suo stato d’animo, le sue disillusioni, il suo pensiero, che bene si esprimo nello scontro teatrale fra personaggi. Nonostante l’omaggio rivolto allo scrittore inglese nei titoli e sottotitoli, Ernest Renan non è William Shakespeare. La sua pièce è un pretesto scenico per dibattere sulla religione, sulla borghesia, sul principio di proprietà, sul comportamento delle masse, sull’oscurantismo, problematiche che riprende sinteticamente nelle ultime frasi di questo lavoro teatrale. Grazie al sistema dell’autocitazione e del reimpiego, l’autore riutilizza le proprie affermazioni in contesti diversi come sono un testo drammatico, un’opera filosofica o storica, il racconto dei propri ricordi… . Con Le Prêtre de Némi siamo di fronte a un palcoscenico politico, mise en abyme del clima della IIIa Repubblica francese imbevuto del mediocre buon senso contrario ad ogni immaginazione impersonificato nel dramma da Tertius, nome dietro il quale non si può non riconoscere Thiers. Gioco palese di maschere della Storia e controfigure d’Autore, la pièce, scritta in uno stile “pétillant”, contiene paradossi, spostamenti, oscillazioni che non permettono di riconoscere nell’uno o nell’altro dei personaggi il vero Renan che pure è presente in ognuno di loro: Ernest è un po’ Antistius ma anche un po’ Métius, un po’ Liberalis… . Ciononostante l’autore si rivela più apertamente in questo dramma che nei Souvenirs in cui, per Petrucci, egli risulta ben più prudente. Sulla scena del dramma, al sicuro dietro le maschere, può dismettere la prudenza curiale che gli veniva rimproverata da alcuni. Debole drammaturgicamente, la pièce ha per Paul Bourget l’accattivante “maladresse” dei pittori primitivi amati da Renan.
Il secondo intervento pomeridiano si deve a Barbara Innocenti dell’Università di Firenze e riguarda Ferdinando Martini lettore di Renan, un contributo che sposta l’attenzione dei convegnisti su di un caso di ricezione italiana dello scrittore e pensatore francese. La dottoressa Innocenti collabora attualmente con il professor Gasnier alla raccolta e all’eventuale reperimento di ulteriori -rispetto a quelli già pubblicati- documenti epistolari di destinatari e mittenti italiani di Ernest Renan in funzione dei futuri volumi della sua Corrispondenza in via di ri-costituzione. A Barbara Innocenti si deve, tra l’altro, la segnalazione dei due telegrammi e di una lettera inviati da Renan rispettivamente a Angelo de Gubernatis e Orazio Grandi, di cui si è accennato all’inizio.
La sua comunicazione al convegno presenta una ricerca ancora in atto il cui scopo è di rintracciare tutta una documentazione (dalle annotazioni sulle opere di Renan agli articoli di giornali da lui redatti sullo scrittore francese) che testimoniano l’interesse di Ferdinando Martini per l’autore di Averroè e della Vita di Gesù.
In questa prospettiva è opportuno segnalare che Martini possedeva tutte le opere di Ernest Renan e, per di più, in varie edizioni.
Nel contesto della Giornata internazionale, Barbara Innocenti si sofferma
su alcune delle sottolineature e delle note manoscritte che l’uomo politico,
scrittore e drammaturgo nonché critico italiano ha posto in margine delle
pagine della Correspondance fra Renan
e Berthelot. Riassume la questione affermando che tali osservazioni sono la
prova della grande attenzione rivolta da Martini a Renan. Controprova di questa
precisa attenzione la succitata lettera di Ernest Renan a Alphonse de Calonne
rintracciata dalla Innocenti alla Forteguerriana in un esemplare dei Souvenirs d’enfance et de jeunesse
posseduto dal Martini, lettera ora inserita all’interno della Raccolta
Autografi della stessa biblioteca. L’aver conservato questa missiva in un libro
dell’autore è una prassi che Ferdinando Martini riserva agli scrittori
particolarmente amati e apprezzati, è il segno tangibile della fascinazione che
Renan esercita su l’uomo, il politico, l’autore e il critico dell’Italia unita,
direttore del “Fanfulla” e fondatore di quel “Fanfulla della domenica” alle cui
colonne si deve anche, come ha mostrato Faitrop-Porta in alcuni suoi importanti
studi, la diffusione del pensiero renaniano nel nostro paese.
Il terzo intervento è stato tenuto da Francesco Petruzzelli dell’Università di Pisa.
Insieme a Domenico Paone, Petruzzelli ha collaborato all’edizione degli Scritti filosofici di Ernest Renan curati da Giuliano Campioni, docente a cui si devono, a livello didattico-scientifico, anche alcuni seminari su Ernest Renan ai quali i due giovani studiosi hanno attivamente partecipato. Ricordo che gli Scritti filosofici, usciti da Bompiani nel 2008, contengono Dialoghi e frammenti filosofici, con testo originale a fronte, tradotti e annotati da Sergio Franzese e da Domenico Paone, autore anche di un’introduzione all’ultimo Renan. Nello stesso volume si devono a Francesco Petruzzelli: l’introduzione, la traduzione, le note e gli apparati a Averroè e l’averroismo, sempre con testo originale a fronte. Petruzzelli è, tra l’altro, autore di un articolo intitolato Il Genio tiranno e il Rivoluzionario. L’incontro fra Ernest Renan e Arthur Schopenhauer, che, durante la redazione di questo resoconto, è in corso di stampa per i tipi dell’ETS di Pisa in un libro di cui G. Campioni è stato il curatore: Goethe, Schopenhauer e Nietzsche. Saggi in memoria di Sandro Barbera.
Nella sua relazione fiorentina Francesco Petruzzelli ha affrontato il seguente tema: La coerenza dell’incoerenza del Filosofo nell’“ostinato tentativo di definire l’infinito”. Momenti della riflessione di Ernest Renan in Italia (1849-1850). L’intervento ritorna a ribadire l’importanza del primo viaggio in Italia del filosofo di Tréguier per la ‘costruzione’ della sua soggettività. La nostra penisola rappresenta, infatti, il suo incontro con la vita -ovvero la segreta vita esuberante che è in lui nonostante sia stata sacrificata dall’erudizione-, l’apertura a varie forme di esistenza che non sia quella dedicata interamente alla scienza, agli aridi studi filologici. Nell’idea di varietà ritroviamo il frammento, il molteplice, la sfaccettatura, il prisma, il parziale e non l’assoluto… ; idea circolata in questo convegno oltre all’interesse per l’io renaniano autobiografico o autografico che sia. Sui testi auto(bio)grafici come Ernest et Béatrix o Patrice punta l’attenzione Francesco Petruzzelli così come su Averroès et l’averroïsme e sulla corrispondenza, tutti ‘luoghi’, insieme a quelli reali visitati dal viaggiatore al suo primo contatto con l’Italia, in cui Renan tenta di ridefinire il critico e il filosofo che come l’Ernest della finzione oscilla tra ragione e sentimento. Con Patrice e Averroè Renan mette in scena nel suo teatro interiore le proprie contraddizioni, antinomie e incoerenze. Come è già stato detto, Averroè è senza dubbio uno degli alter ego di Renan, così come i succitati Ernest e Patrice. Lo scrittore si muove nell’entre-deux fra filosofia e auto(bio)grafia, alle quali, nel corso di una remarque, Domenico Paone suggerisce di aggiungere anche il teatro, in cui sono in movimento altrettanti Renan che si rifrangono sulla scena come su altre pagine renaniane. Un movimento causato dalla ricerca, dalla quête verso l’infinito citato nel titolo della relazione, nonché dall’impossibilità di raggiungere il vero e la pace, in quanto quel raggiungimento realizzerebbe il fine della vita stessa.
Il discorso si avvale di riferimenti testuali tratti dai tentativi letterari auto(bio)grafici, dalla corrispondenza, dalle note di viaggio e dalle riflessioni filosofiche del giovane bretone al suo giovanile contatto con l’Italia. Tramite il sistema del reimpiego di frammenti di pensiero, le riflessioni, i sentimenti, le emozioni di Renan sono disseminate nelle lettere di Patrice a Cécile, nei pensieri di Patrice come nelle lettere di Renan e nelle sue note di viaggio.
Nella Bella Italia Ernest Renan passa da un’illuminazione all’altra, e procede a una autocritica spazzando via i pregiudizi: una volta a Roma scrive a Berthelot di non essere più francese. In quella situazione mentale e spirituale, liberata da un eccesso di razionalità, scopre, ad esempio, la poesia di due lucertole che si rincorrono su un muro e insieme la poesia del sentimento religioso: a Santo Spirito si inginocchia e prega, sostituendo alla fede, l’estasi, il panteismo amoroso cristiano. La nuova religione è la poesia. L’autore di Patrice sembra allora del tutto cosciente del fatto che la scienza e la critica procedono contro natura nel momento in cui soffocano la religione e la poesia ad essa collegata. Grazie ai o a causa dei molteplici (di nuovo la molteplicità) impulsi estatici che Renan riceve durante il soggiorno italiano lo statuto del filosofo è rimesso in questione fino a divenire contradditorio. La critica, il laicismo scientifico, i progressi della ricerca lasciano -in maniera anch’essa contraddittoria- il passo al sentimento religioso che eleva lo spirito e conforta il cuore: in Italia lo statuto del giovane filosofo bretone diventa malleabile, gli permette, cioè, di non rinunciare a nessun elemento dell’umanità e di giungere a mantenere, appunto, le une di fronte alle altre, tutte le contraddizioni. Il vero filosofo sa d’ora in poi che la verità non è assoluta, ma relativa, risiede tutta nelle sfumature (altra versione del molteplice). Renan evidenzia l’opposizione e la parzialità che costituiscono, insieme all’imperfezione, lo spirito dell’uomo così che definire l’infinito, come recita il titolo dell’intervento, risulta un sforzo vano. Citando il Nietzsche del Crepuscolo degli idoli, per il quale Renan è uno spirito che si rammollisce, Petruzzelli sottolinea come sia lo stesso filosofo francese a definirsi debole, condannato a questa debolezza da una natura chimerica che in quanto tale riunisce in sé tanti elementi. L’Italia ha fatto scoprire a un Renan liberato dai pregiudizi questa ‘debolezza’ che nel 1883 Paul Bourget, chiamato in causa da Petruzzelli, definirà eroismo: “Quanto è preferibile l’eroismo di un Renan che si rassegna a subire le conseguenze del suo pensiero e, riconoscendosi incapace di risolvere con una sola formula il grande problema del destino, accetta la legittimità di soluzioni diverse!”
Il penultimo intervento della Giornata è affidato a Domenico Paone, autore di una tesi dottorale -consultabile on line- scritta sotto la direzione di Jacques Le Rider e Giuliano Campioni e discussa nel marzo 2009 all’Ecole pratique des hautes études sulla produzione filosofica, scientifica e letteraria degli ultimi anni di Ernest Renan: Storia, religione e scienza negli ultimi scritti di Ernest Renan. Esperto in genetica dei testi filosofici collabora con l’Institut des textes et manuscrits modernes. Continua i suoi studi immergendosi ancora nei manoscritti renaniani. La ricerca in questa direzione gli ha permesso di decifrare le discontinuità e le contraddizioni che costellano l’opera di Renan: la prospettiva genetica ha infatti consentito a Paone di cogliere le ambiguità del pensiero del filosofo bretone e in particolare il suo continuo oscillare fra scetticismo materialista e fede spiritualista.
Questo suo lavoro è il frutto di una scrupolosa immagine condotta sulle
note e i frammenti manoscritti inediti di Renan conservati nella Bibliothèque
nationale de France e presso il Musée de
Attraverso un corpus costituito da lettere, note di viaggio e alcuni articoli tardi Paone ci parla de Les Italies d’Ernest Renan dans le miroir de la multiplicité.
Renan è rimasto otto mesi in Italia fra il 1849 e il 1850. Un periodo che
come ribadisce anche Paone ha influenzato fortemente il giovane bretone. L’intervento
indaga, inoltre, su tale influenza alla luce di illustri predecessori quali: H.
Tronchon, La leçon de l’Italie moderne
in Ernest Renan et l’étranger (1928),
A. Le Franc, Ernest Renan en Italie
(1938); A.-C. Faitrop-Porta, Renan et
l’Italie de son temps, in Mémorial
Ernest Renan. Actes des colloques de Tréguier, Lannion, Perros-Guirec (1993).
In particolare, soprattutto rileggendo l’epistolario tra il 1849 e il 1850
nella recente edizione Champion diretta da Jean Balcou, Domenico Paone attira
la nostra attenzione sul mutare dei giudizi di Renan formulati a proposito dell’Italia
durante il suo primo soggiorno nella penisola attraverso le sue lettere, le sue
note di viaggio e alcuni articoli posteriori alla missione di studio e ricerca nel
Bel Paese. Da un pregiudizio globalmente negativo il giovane bretone passa a
una situazione d’incantamento davanti a questa terra dell’arte e della passione
(Roma) così opposta alla Francia razionale. Partito con l’idea, fondata su
considerazioni antropologiche e culturali, di un’Italia divisa in tre
(Nord/Centro/ e Sud), si vede costretto a rivedere questa idea a contatto con
l’esperienza dell’Italia dei Comuni (
Realizzando un percorso a ritroso dal sud dell’Italia al nord, rispetto all’andamento tradizionale seguito qualche anno prima dalla stessa sorella Henriette, che da Venezia era poi scesa verso Firenze e Roma, o all’inizio del secolo da Madame de Staël, la cui Corinne lo accompagna nel viaggio, Renan entra quindi in contatto con diverse Italie. Ma a distanza di poco tempo Roma non sarà più unica ma almeno duplice: al rientro del papa nella città Renan si trova in presenza di un’altra Roma, simile a Napoli, nella quale la poesia ingenua della religione ha lasciato il posto al selvaggio entusiasmo di donne-baccanti oscene che seguono urlanti il corteo pontificale insieme ad uomini altrettanto osceni che chiedono gridando solo di obbedire a Pio IX. Sull’avvenimento e il cambio di prospettiva da parte di Renan, Paone cita due lettere. Una familiare e meno franca, l’altra più franca all’amico Berthelot, il che riapre la questione del rapporto variabile del mittente con i propri destinatari. Variabili su cui ha richiamato l’attenzione Faitrop-Porta.
Ha chiuso brillantemente
La discussione finale ha ripreso i punti forti della giornata: la quête; l’auto(bio)grafia umana e intellettuale; il prisma identitario con le maschere e le controfigure dell’io; la conversione alla poesia della religione e dell’arte cristiana; il frammento e la molteplicità; il movimento che ne deriva; la modernità dello scrittore di autofictions romanzesche; il teatro dell’io; il genio oscuro; l’attento quanto rarissimo estimatore dell’arte barocca siciliana e della sua sensualità; il fine erudito d’arte “qui brouille les pistes” dei ricercatori (come a ben messo in evidenza Faitrop-Porta), che rivela la sua conoscenza di Sano di Pietro come del Masaccio al Carmine di Firenze o del Mantegna agli Eremitani di Padova -apparentemente assenti dal suo museo immaginario- solo a chi si attarda nella lettura puntuale, quanto trasversale rispetto all’autore di testi ben più frequentati, delle didascalie del suo teatro nelle quali si descrivono gli abiti di scena le cui fogge devono essere riferite alla pittura di quegli artisti.
Grazie a Emanuele Kanceff avremo il piacere di leggere nella collana del CIRVI (Centro Internazionale di Ricerca sul Viaggio in Italia) gli Atti del convegno[3], del quale ho qui voluto dar conto affinché rimanesse memoria del fatto che questo incontro -che ho definito epocale per gli studi franco-italiani su Renan- è frutto della sinestesia tra Università di Brest, Gabinetto Vieusseux e Amici dell’Istituto Francese, in un’armonia intellettuale che ha trovato il suo luogo rappresentativo ideale nella Sala Ferri.
Marco Lombardi
[1] Questo testo è apparso su “Antologia Vieusseux”, 51, sett.-dic. 2011, pp. 147-160. Ringraziamo la rivista per averne concesso la pubblicazione in questa sede.
[2] A nome dell’Associazione degli Amici dell’Istituto Francese di Firenze e della sua Presidente, la professoressa Maria Luisa Premuda, ringrazio Maurizio Bossi per il suo sostegno in questa impresa e con lui la direzione e tutto il personale del Vieusseux. Un grazie anche alle stagiste del Centro Romantico, Maddalena Mancini e Caterina Rocchi che insieme a Barbara Innocenti dell’Università di Firenze, nonché segretaria dell’AAIFF, hanno curato rispettivamente la pubblicità dell’evento e l’organizzazione di questa importante Giornata internazionale di Studio.
[3] Gli Atti sono stati pubblicati nel 2013 a cura di J. Balcou nel n° 105 della Biblioteca del viaggio in Italia/Bibliothèque du voyage en Italie.