Renan et l’Italie / Renan e l’Italia[1]

 

 

 

 

Questo testo vuole essere un resoconto della Giornata internazionale di Studi organizzata dall’Università di Brest, dal Gabinetto Vieusseux e dalla Società degli Amici dell’Istituto Francese di Firenze. L’incontro epocale, tenutosi nella Sala Ferri di Palazzo Strozzi il mercoledì 4 maggio 2011, ha visto riuniti specialisti  francesi, greci e italiani di Ernest Renan sulle ‘tracce’ del filosofo nella nostra penisola. Tracce ‘vive’ da un lato, Renan ha intrapreso, com’è noto, vari viaggi in Italia, che ha amato per tutta la sua vita, per incontrare personalità della cultura, frequentare biblioteche e archivi, visitare luoghi d’arte e di fede, e tracce intellettuali dall’altro: la presenza del suo pensiero e dei suoi scritti.

Su queste tracce il gruppo ‘francese’ si è mosso materialmente per giungere a Firenze, da cui è ripartito per altre città seguendo i percorsi intrapresi da Ernest Renan nel Bel Paese.

L’arrivo, nella primavera scorsa, dei ‘francesisti’, di cui faceva parte anche Iphigénie Botouropoulou dell’Università di Atene, era stato anticipato da un’‘ambasceria’ di Maurice Gasnier, professore all’Università di Brest, che avevamo ricevuto con piacere nel quadro reale e simbolico di un altro dei luoghi privilegiati per le relazioni internazionali nel capoluogo toscano rappresentato dall’Institut Français de Florence. In quell’occasione, era il 27 ottobre del 2008, il quattrocentesco palazzo Lenzi di Piazza Ognissanti, sede dell’Istituto, aveva ospitato, sempre in sinergia con il Gabinetto Vieusseux e con l’Associazione degli Amici dell’Istituto Francese, la presentazione del terzo volume della Correspondance générale di Renan (Paris, Champion, 2008), curato dallo stesso Gasnier. Il libro mostra, tra l’altro, la vasta rete di contatti stabilita da Renan sul suolo italiano negli anni tra il 1849 e il 1855. Coordinata da Anne-Christine Faitrop-Porta, tale presentazione, con l’intervento di chi scrive e di Alessandro Gori dell’Università di Firenze, è la punta di iceberg di un ritorno d’interesse  da parte di studiosi francesi e italiani (e non solo) per l’apporto che la nostra cultura ha dato alla formazione di Renan nonché per la ricezione delle sue opere e del suo pensiero nel nostro paese. Nella mia recensione alla Correspondance in “Antologia Vieusseux”, 43, gennaio-aprile 2009, pp. 210-215, avevo voluto segnalare o ricordare l’esistenza di tante piccole tessere di un vasto mosaico tutto da costruire o ri-costruire che rappresenti, una volta rimontato,  l’insieme delle tracce materiali e immateriali della ‘fortuna’ di Renan in Italia, quali, per esempio, a diverse altezze cronologiche: le Letture popolari sulla Vita di Gesù di Ernesto Renan, di Padre Alessandro Baroni, testo stampato a Livorno per i tipi di F. Vigo nel 1863, a prova della diffusione degli scritti renaniani in ambito popolare promossa in Toscana dalla Società Pistoiese per la lettura popolare; la traduzione (che ha avuto la Duse come interprete), nel 1887, da parte di Enrico Panzacchi  dell’Abbesse de Jouarre, documentata da una lettera dell’autore al traduttore pubblicata nel 1967 da Bianca Crucitti Ullrich nella “Rivista di Letterature Moderne e Comparate”; i due telegrammi, inviati da Renan a Angelo de Gubernatis, e una lettera, datata 15 giugno 1880, spedita a Orazio Grandi, documenti non citati da Petre Ciureanu nel suo Renan, Taine et Brunetière à quelques amis italiens (correspondance), Firenze, Publications de l’Institut Français de Florence, 1956, e giacenti presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; anch’essa del 1880, la dedica da parte dell’editore Calmann-Lévy a Ferdinando Martini del volume in cui sono contenute le Conférences d’Angleterre conservato presso la Biblioteca Forteguerriana di Pistoia; e, sempre  presso la biblioteca pistoiese (Fondo Autografi Martini), la lettera di Renan a Alphonse de Calonne allora caporedattore de “La Revue contemporaine”. Ulteriore tessera del mosaico da ri-comporre, la lettera scritta da Ernest Renan a Giovan Pietro Vieusseux. Inviata da Parigi il 29 agosto 1852 è conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze insieme alla risposta del destinatario datata 29 novembre dello stesso anno. Nell’Archivio storico del Gabinetto Vieusseux è consultabile l’esemplare del Copialettere. La missiva, ricordiamolo, conteneva la richiesta da parte del filosofo francese di una recensione al suo Averroès et l’averroïsme che egli avrebbe avuto piacere apparisse nell’“Archivio storico”. Nel 1853 il volume sarà recensito da Silvestro Centofanti  dell’Università di Pisa. Presso l’Archivio di Stato di questa città il Fondo Centofanti contiene una raccolta di lettere di terzi a terzi, tra i quali figura Renan, che merita di essere ri-esplorato.

L’anno 1852 della lettera a Giovan Pietro Vieusseux, prossimo all’anno 1849, nel quale Renan intraprende il suo primo viaggio in Italia, lo scambio epistolare con il fondatore del celebre Gabinetto fiorentino e suo genius loci, la fascinazione dello scrittore e filosofo francese per Leopardi, altro genius loci del Gabinetto Vieusseux, e per il suo Infinito, così come evidenziato dalle ricerche di Faitrop-Porta, sono stati all’origine della scelta della cornice della Sala Ferri in Palazzo Strozzi come sede emblematica in cui dovevano svolgersi i lavori della Giornata internazionale di Studi dedicata a Renan et l’Italie/ Renan e l’Italia.

Nove i relatori convenuti. Quattro i communiquants del mattino.

Dopo i saluti di Maurizio Bossi del Gabinetto Vieusseux[2],  la presidenza è stata assunta da Anne-Christine Faitrop-Porta (Professeur des Universités), a cui si devono importanti pubblicazioni concernenti il rapporto intrattenuto da Renan con i luoghi e l’intellighentzia italiani.

Ha aperto i lavori Jean Balcou, professore dell’Università di Brest che dirige l’importante progetto di pubblicazione della Correspondance générale di Renan, con una relazione intitolata Patrice, fragments romains du moi imparfait.

Patrice, romanzo concepito a Roma fra il dicembre del 1849 e l’aprile del 1850, è considerato da Balcou un testo fondatore del pensiero (complessità e imperfezioni dell’io preannunciate nel titolo della comunicazione) e della scrittura renaniani (importanza del frammento, anch’essa sottolineata già nel titolo).

 Nella città eterna, afferma il critico, Ernest Renan compie la sua propria rivoluzione nella maniera di vedere e di sentire il mondo. La Roma autentica, quella in cui Renan ama vivere, insegna quasi carnalmente al protagonista (controfigura dell’autore) che la vera vita è nello stesso piacere di vivere, che la vera religione è popolare, che la verità del cattolicesimo è di essere una “poetica”, e che, infine, la morale è una questione di tolleranza.

Auto(bio)grafia intellettuale e spirituale dell’autore che avanza mascherato nelle vesti di Patrice, questo testo rivela il giovane bretone a se stesso. A contatto con Roma, come il suo personaggio-alter ego, Renan  si scopre essere un cerebrale impotente, uno spirito critico distruttore, un uomo che non conoscerà mai l’amore. Nella capitale del cristianesimo il filosofo compie, appunto, la propria rivoluzione cambiando le sue maniere di vedere e di sentire. In questo senso, sottolinea Balcou, la nozione di “frammento” è significativa sia a livello della scrittura (frammento di romanzo) che di pensiero (tutto è frammento nel mondo e il dramma deriva dal credere che il frammento è un assoluto). Incontro modernissimo di vari generi: dal racconto, al romanzo epistolare, al diario intimo, la scrittura di Patrice appare a Balcou come uno strumento terapeutico per curare il male del secolo di cui è indubbiamente affetto Patrice-Renan: l’essere troppo critico, l’eccesso di scienza e razionalità uccidono la giovinezza, la poesia, l’amore. Il testo ‘frammentato’ ben evidenzia a sua volta la frammentazione dell’io di Patrice-Renan a seguito del soggiorno nell’urbe dove entrambi, autore e personaggio, scoprono l’imperfezione, legge della natura, forza creatrice. Lo spirito del sistema lascia il posto ai frammenti del sistema che si armonizzano pur restando tali, al caleidoscopio del mondo. “Autofiction” Patrice gioca sui punti di vista, sui destinatari (Cécile, i lettori contemporanei e odierni?), sull’io del narratore che si sdoppia, sulla presenza dell’autore, a indicare il legame intrattenuto da Ernest con il suo personaggio a cui è vicino, fino a sovrapporvisi, e da cui prende le distanze (anche in relazione al tempo della fabula), in un movimento contraddittorio, riflesso più o meno diretto dello stato d’animo di Renan.

Venuti a Roma per sfidarla sul campo del cattolicesimo da cui Ernest si è allontanato, autore e protagonista del romanzo si aprono alle sensazioni: il bel cielo, il bel sole, la nonchalance dei romani. Roma è fatta per l’amore inteso come ideale. La città eterna è donna; il cattolicesimo è donna ed è legato alla manifestazione dell’eros e dell’arte che dell’eros partecipa. Certamente Patrice non si converte; scettico in Francia, a Roma è cattolico (in quanto poeta del cuore e dell’anima) pur continuando a non credere al cattolicesimo vaticano.

Segue la relazione di Maurice Gasnier (a cui si deve la cura del terzo volume della Correspondance générale), che dedica il suo intervento al “côté de l’art”, così lo definisce lo stesso Renan, della poliedrica personalità dello scrittore e pensatore bretone. In lui, l’arte, consolatrice, sostituisce la religione perduta. Insieme all’arte, il sole, la luce del paesaggio italiano permettono al giovane bretone di uscire da se stesso. L’Italia è anche per Gasnier alla base di una rivoluzione interiore nel suo modo di vedere e sentire.

Nella comunicazione, intitolata La Critique de la peinture italienne chez Renan, Gasnier, attraverso una accurata scelta di citazioni tratte soprattutto dalle note di viaggio e dalla corrispondenza, mette in luce l’influenza dell’arte italiana e in particolare della pittura sulle riflessioni di Renan nonché i suoi giudizi critici che nel primo viaggio nella penisola sono funzionali alle ricerche da lui condotte nell’ambito della propria missione scientifica che doveva portarlo alla redazione della tesi su Averroè e l’averroismo.

L’osservazione dell’oggetto d’arte (nello specifico la rappresentazione di Averroè) serve in realtà a questo razionalista che si fa critico come rivelatore della sua sensibilità. Funziona da strumento di anamnesi che lo conduce una volta di più a meditare sul proprio io in rapporto alla propria evoluzione religiosa. La scelta, ben informata e documentata, delle raffigurazioni del filosofo di Cordova, dall’Orcagna del Camposanto di Pisa, al Traini della chiesa pisana di Santa Caterina, al Taddeo Gaddi del fiorentino Cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella, al Benozzo Gozzoli del Louvre,  non è neutra. Adotta, e propaga con i suoi scritti, l’immagine di un Averroè eretico, emblema dell’incredulità. Tale scelta tradisce la situazione di Renan fuori dalla Chiesa fino ad esserne da lei combattuto. L’Averroè di altre rappresentazioni come quella delle raffaellesche stanze vaticane (Stanza della Segnatura) in cui il filosofo arabo appare ‘integrato’ a pieno titolo tra gli altri grandi filosofi della civiltà europea è taciuto dal giovane ricercatore. C’è una volontà di negare la visione di un Averroè saggio tra i saggi.

 I commenti alle succitate immagini, bisogna dire, non sono mai tecnici ma esclusivamente filosofici.

Le note di viaggio sono interessanti per le sensazioni di Renan che esse ci comunicano piuttosto che per la storiografia della critica d’arte. Le stesse note dall’andamento paratattico sono per questo prossime alle emozioni immediate del riguardante, non razionalizzate, non sistematizzate. Come ha fatto osservare Anne-Christine Faitrop-Porta al momento della discussione, Renan prende personali, nette, posizioni nei confronti delle opere oggetto della sua osservazione. Si lascia alle spalle i pregiudizi critici come quando a Santo Stefano Rotondo esalta gli affreschi del Pomarancio, bistrattati dalla critica, mettendone in luce i contenuti al limite del sadismo: i crudeli supplizi neroniani inflitti ai martiri di Cristo. In quel contesto il suo sguardo di “genio oscuro dell’800” si fonde con quello dell’imperatore folle nell’esaltazione del sangue. Il che conferma la completa soggettività della sua visione dell’arte che concorre alla costruzione della sua nuova o diversa identità sul suolo italiano in contrasto con le teorie e i giudizi artistici imperanti a quell’altezza cronologica nella critica d’arte e nelle guide di viaggio.

A Iphigénie Botouropoulou  dell’Università di Atene, che nel 1999 ha tradotto in greco con testo a fronte la Prière sur l’Acropole,  è affidato il terzo intervento della mattinata: L’Italie et la Grèce dans la pensée d’Ernest Renan. Si tratta di una ripresa, questa volta con prospettiva bifocale, e di un approfondimento del suo Ernest Renan et la Grèce. Nouvelles approches  presentato al “Colloque d’Athènes” dell’aprile 2009, che era stato dedicato a Ernest Renan et la Grèce. Philosophie, langue et politique. Sia l’Italia che la Grecia hanno contribuito alla formazione intellettuale di Renan che così si era espresso in proposito: “Per uno spirito filosofico, cioè a dire per uno spirito preoccupato delle origini, nella storia dell’umanità ci sono soltanto tre Storie che possono essere veramente di capitale interesse: la storia greca, la storia d’Israele, la storia di Roma. Queste tre Storie riunite costituiscono ciò che si può chiamare storia della civiltà, la civiltà essendo il risultato della collaborazione alternativa fra la Grecia, la Giudea e Roma”. Per quel che concerne la storia d’Israele, commenta Iphigénie Botouroupoulou, Renan ha spiegato nell’opera omonima il ruolo eccezionale e decisivo che, a suo parere, Israele ha avuto nel cammino dell’umanità. Quanto all’Italia e alla Grecia, invece, Renan evidenzia -tappa significativa nella quête dell’uomo e del filosofo- a che punto entrambe abbiano influito sul proprio cammino di formazione in quanto fonti di riflessione e di ispirazione personali. Grazie ai suoi viaggi nei due paesi non solo ha avuto modo di comparare e commentare ciò che le due civiltà hanno rappresentato nella Storia ma anche di prendere coscienza di ciò che esse rappresentavano per lui.

Iphigénie Botouropoulou termina il suo intervento con la lettura di una lettera datata 1885 e da lei ritrovata, scritta da Michele Amari a Jean Psichari, che contiene riferimenti a Renan e alla sua famiglia, tassello ulteriore di quel grande mosaico in ri-costruzione le cui tessere sono raccolte da Jean Balcou e dai suoi collaboratori allo scopo di mettere a punto la Correspondance générale del nostro autore.

Conclude le relazioni del mattino la comunicazione di Jean-Paul Clément, professore all’Istituto Cattolico di Parigi, su Renan et Saint François d’Assise. Clément vi evidenzia il fatto che Ernest Renan, pur avendo perduto la fede, è rimasto profondamente religioso, sensibile al comportamento indipendente, addirittura contestatario, dei santi e in particolare di San Francesco, del quale il filosofo mette in risalto il rapporto immediato con la natura, il rifiuto di ogni ricchezza materiale,  il porsi al di sopra dei conflitti del suo tempo che opponevano guelfi e ghibellini. Per il suo entusiasmo, per la sua poesia ingenua, per gli slanci del cuore, per la sua povertà voluta e sostenuta, Francesco d’Assisi incarna agli occhi di Renan la “categoria dell’ideale” normalmente perseguita in altri modi da chi ricerca la saggezza. Nelle Nouvelles études historiques, in particolare, Ernest Renan sottolinea il grande contributo di Francesco alla costruzione dell’identità europea nonché alla costruzione dell’identità dello stesso autore, che del santo assisiate tratteggia un significativo ritratto -straordinariamente a lui stesso somigliante- nelle Etudes d’histoire religieuse. Francesco è per Renan l’eroe dell’ideale di cui va costantemente alla ricerca e che consiste fondamentalmente nella ‘depossessione’ di tutti i beni materiali, che la borghesia accumula e ha accumulato: ‘depossessione’ sintetizzata in maniera chiara e insieme sublime nel gesto politico, morale e religioso rappresentato da Francesco che si spoglia degli abiti che indossa e che sono di ‘proprietà’ del padre per rimanere nudo nella cattedrale di Assisi. Ernest e Francesco sono uniti nella ‘depossessione’, nel rifiuto del pensiero ‘borghese’, nell’esaltazione della natura così come è poeticamente quanto ingenuamente descritta nel Cantico delle creature. Una natura di cui l’uomo ha solo l’“usufrutto”, che non è di sua proprietà: per Renan manca di poesia il paesaggio chiuso dalla “clôtures”, dai segni delle proprietà che lo delimitano. Il verde, libero, paesaggio umbro partecipa invece del “rinverdire” del cristianesimo ad opera del Santo. I Fioretti sono un nuovo Vangelo, quella terra la Galilea d’Italia, Francesco il secondo Gesù. Come ha fatto osservare Faitrop-Porta nella discussione che è seguita all’intervento il nuovo Cristo, ossia Francesco, ha il suo Giuda, il padre mercante, come il traditore di Gesù era il ‘cassiere’ degli apostoli.

L’incontro è proseguito nel pomeriggio sotto la presidenza dello scrivente.

Cinque le relazioni.

La prima relazione è stata presentata de Valentino Petrucci dell’Università del Molise. A lui si deve il volume Il mercante di ellèboro. Un’introduzione a Ernest Renan, pubblicato da Rubbettino nel 2007, dove si fa riferimento a quelle che i contemporanei consideravano le proprietà tossiche (ovvero pericolosamente scettiche) che la biografia di Gesù iniettava nelle vene della cultura francese. Tra gli altri suoi scritti consacrati al filosofo di Tréguier,  Petrucci ha recentemente pubblicato nel n° 1 di “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, aprile 2011, un interessante articolo sull’ateismo di Renan: “Tutto è possibile, anche Dio”. L’ateismo di Ernest Renan, che indica la continuità del suo impegno in favore della ri-scoperta di Renan nell’ambito accademico italiano. Accanto a  lui possiamo citare, quali altri rappresentanti di questo ‘progetto’ culturale, la professoressa Anne-Christine Faitrop-Porta, straordinario passeur di cultura renaniana fra Italia e Francia, e il gruppo di studio e ricerca che ruota intorno al professor Giuliano Campioni dell’Università di Pisa del quale fanno parte gli stessi Francesco Petruzzelli e Domenico Paone qui convenuti.

Anch’egli ospite del Convegno di Atene, in cui è intervenuto con un Renan et il Collège de France,  al Vieusseux Valentino Petrucci ha parlato di Renan et Le Prêtre de Némi, il terzo dramma composto da Renan dopo Caliban (1878), riscrittura della Tempesta shakespeariana, e L’eau de Jouvence (1880), suite del Caliban. Pubblicato nel 1885, Le Prêtre de Némi s’ispira, com’è noto, ad una antico e feroce culto di Diana praticato a Nemi, del quale in quegli stessi anni si occupava l’antropologo James Frazer che svilupperà il tema nel famoso Ramo d’oro. Durante il suo intervento Valentino Petrucci ha stabilito un parallelo tra questa vicenda e la situazione interiore del filosofo Renan nel periodo in cui redigeva  la pièce. In questa prospettiva è utile ricordare che nella fabula colui che aspirava a diventare il sacerdote del tempio di Diana doveva uccidere il sacerdote in carica, carica che manteneva finché qualcuno di più forte o di più astuto non ne prendeva il posto uccidendolo a sua volta. Un’attrazione per la violenza e il sangue, questa, che secondo quanto sottolineato da Faitrop-Porta durante la discussione, è da collegarsi alla fascinazione che Renan prova davanti alle scene nelle quali, in Santo Stefano Rotondo, il Pomarancio ha dipinto il sacrificio cruento dei martiri cristiani.

Un sacerdote riformatore, Antistius, decide di porre fine al rito sanguinario che si svolge sul lago di Nemi: scaccia, senza ucciderlo, il suo predecessore e tenta di instaurare una nuova religione fondata sugli ideali di giustizia e di fraternità. Così facendo scontenta sia l’aristocrazia che la borghesia e il popolo, i quali non si sentono più protetti dalla dea al momento di muovere guerra contro i romani. Un bandito di nome Casca ristabilisce il precedente rituale: uccide il sacerdote ‘liberale’ e ne assume la carica. Secondo Petrucci, il dramma di Antistius riflette lo stato d’animo di Renan a metà degli anni 1880 e in particolare le sue delusioni: facendo sua una riflessione del Thibaudet dell’Histoire de la littérature française a proposito della tragica vicenda di Antistius, lo stesso Petrucci afferma che l’intreccio renaniano rende bene l’idea delle grandi difficoltà che accompagnano l’avvento della ragione, del buon senso e dell’umanità. Secondo Petrucci, Le Prêtre de Némi è il più originale dei drammi renaniani in quanto meglio riflette il suo stato d’animo, le sue disillusioni, il suo pensiero, che bene si esprimo nello scontro teatrale fra personaggi. Nonostante l’omaggio rivolto allo scrittore inglese nei titoli e sottotitoli, Ernest Renan non è William Shakespeare. La sua pièce è un pretesto scenico per dibattere sulla religione, sulla borghesia, sul principio di proprietà, sul comportamento delle masse, sull’oscurantismo, problematiche che riprende sinteticamente nelle ultime frasi di questo lavoro teatrale. Grazie al sistema dell’autocitazione e del reimpiego, l’autore riutilizza le proprie affermazioni in contesti diversi come sono un testo drammatico, un’opera filosofica o storica, il racconto dei propri ricordi… . Con Le Prêtre de Némi siamo di fronte a un palcoscenico politico, mise en abyme del clima della IIIa Repubblica francese imbevuto del mediocre buon senso contrario ad ogni immaginazione impersonificato nel dramma da Tertius, nome dietro il quale non si può non riconoscere Thiers. Gioco palese di maschere della Storia  e controfigure d’Autore, la pièce, scritta in uno stile “pétillant”, contiene paradossi, spostamenti, oscillazioni che non permettono di riconoscere nell’uno o nell’altro dei personaggi il vero Renan che pure è presente in ognuno di loro: Ernest è un po’ Antistius ma anche un po’ Métius, un po’ Liberalis… . Ciononostante l’autore si rivela più apertamente in questo dramma che nei Souvenirs in cui, per Petrucci,  egli risulta ben più prudente. Sulla scena del dramma, al sicuro dietro le maschere, può dismettere la prudenza curiale che gli veniva rimproverata da alcuni. Debole drammaturgicamente, la pièce ha per Paul Bourget l’accattivante “maladresse” dei pittori primitivi amati da Renan.

Il secondo intervento pomeridiano si deve a Barbara Innocenti dell’Università di Firenze e riguarda Ferdinando Martini lettore di Renan, un contributo che sposta l’attenzione dei convegnisti su di un caso di ricezione italiana dello scrittore e pensatore francese. La dottoressa Innocenti collabora attualmente con il professor Gasnier alla raccolta e all’eventuale reperimento di ulteriori -rispetto a quelli già pubblicati- documenti epistolari di destinatari e mittenti italiani di Ernest Renan in funzione dei futuri volumi della sua Corrispondenza in via di ri-costituzione. A Barbara Innocenti si deve, tra l’altro, la segnalazione dei due telegrammi e di una lettera inviati da Renan rispettivamente a Angelo de Gubernatis e Orazio Grandi, di cui si è accennato all’inizio.

La sua comunicazione al convegno presenta una ricerca ancora in atto il cui scopo è di rintracciare tutta una documentazione (dalle annotazioni sulle opere di Renan agli articoli di giornali da  lui  redatti sullo scrittore francese) che testimoniano l’interesse di Ferdinando Martini per l’autore di Averroè e della Vita di Gesù.

In questa prospettiva è opportuno segnalare che Martini possedeva tutte le opere di Ernest Renan e, per di più, in varie edizioni.

Nel contesto della Giornata internazionale, Barbara Innocenti si sofferma su alcune delle sottolineature e delle note manoscritte che l’uomo politico, scrittore e drammaturgo nonché critico italiano ha posto in margine delle pagine della Correspondance fra Renan e Berthelot. Riassume la questione affermando che tali osservazioni sono la prova della grande attenzione rivolta da Martini a Renan. Controprova di questa precisa attenzione la succitata lettera di Ernest Renan a Alphonse de Calonne rintracciata dalla Innocenti alla Forteguerriana in un esemplare dei Souvenirs d’enfance et de jeunesse posseduto dal Martini, lettera ora inserita all’interno della Raccolta Autografi della stessa biblioteca. L’aver conservato questa missiva in un libro dell’autore è una prassi che Ferdinando Martini riserva agli scrittori particolarmente amati e apprezzati, è il segno tangibile della fascinazione che Renan esercita su l’uomo, il politico, l’autore e il critico dell’Italia unita, direttore del “Fanfulla” e fondatore di quel “Fanfulla della domenica” alle cui colonne si deve anche, come ha mostrato Faitrop-Porta in alcuni suoi importanti studi, la diffusione del pensiero renaniano nel nostro paese. La Correspondance con Berthelot è il terreno privilegiato del ‘dialogo’ a distanza fra Martini e Renan. Nel testo, le sottolineature semplici, doppie o triple evidenziano in progressione i vari tipi di apprezzamento, la più o meno stretta aderenza alle idee renaniane. Le note a lapis redatte al margine contengono commenti e giudizi del tutto favorevoli oppure critici. Alcune identità di vedute si riscontrano nelle osservazioni di Martini relative all’aspetto sublime della Rivoluzione di cui, purtroppo, è rimasto nella memoria solo l’aspetto sanguinario, alla messa in guardia contro la sovrapposizione di idea di patria e di nazionalismo, alla presa di distanza dall’insegnamento dei dogmi della religione nelle scuole, che ispira il disegno di legge proposto dal Martini uomo politico che, se approvato, avrebbe determinato l’abolizione della religione come materia scolastica. Con l’aggressività dettata da una certa disillusione rispetto all’uomo e allo scrittore stimato, Ferdinando Martini rimprovera certe prese di posizione del Renan viaggiatore che, ad esempio, in una lettera da Bologna a Berthelot definisce le Marche la Beozia d’Italia. Martini ‘risponde’ difendendo in una nota a latere la terra che ha dato origine a Gentile da Fabriano, Leopardi e Rossini. L’errore di giudizio di Martini nei confronti di Renan viene, a mio avviso, dal fatto di non aver colto che le osservazioni del viaggiatore sono collegate al momento, alle circostanze, al destinatario, al movimento delle sue idee, al proprio umore talvolta nero di melanconico. Divisi su certe concezioni artistiche (si pensi alle critiche rivolte da Renan  alla cattedrale fiorentina, di cui ammira comunque l’interno e la cupola brunelleschiana), i due, come accennato, sono uniti nella rivalutazione di certi aspetti della Rivoluzione francese nonché nella visione di un cristianesimo ‘rivoluzionario’.

Il terzo intervento è stato tenuto da Francesco Petruzzelli dell’Università di Pisa. 

Insieme a Domenico Paone, Petruzzelli ha collaborato all’edizione degli Scritti filosofici di Ernest Renan curati da Giuliano Campioni, docente a cui si devono, a livello didattico-scientifico, anche alcuni seminari su Ernest Renan ai quali i due giovani studiosi hanno attivamente partecipato. Ricordo che gli Scritti filosofici, usciti da Bompiani nel 2008, contengono Dialoghi e frammenti filosofici, con testo originale a fronte, tradotti e annotati da Sergio Franzese e da Domenico Paone, autore anche di un’introduzione all’ultimo Renan. Nello stesso volume si devono a Francesco Petruzzelli: l’introduzione, la traduzione, le note e gli apparati a Averroè e l’averroismo, sempre con testo originale a fronte. Petruzzelli è, tra l’altro, autore di un articolo intitolato Il Genio tiranno e il Rivoluzionario. L’incontro fra Ernest Renan e Arthur Schopenhauer, che, durante la redazione di questo resoconto, è in corso di stampa per i tipi dell’ETS di Pisa in un libro di cui G. Campioni è stato il curatore: Goethe, Schopenhauer e Nietzsche. Saggi in memoria di Sandro Barbera.

Nella sua relazione fiorentina Francesco Petruzzelli ha affrontato il seguente tema: La coerenza dell’incoerenza del Filosofo nell’“ostinato tentativo di definire l’infinito”. Momenti della riflessione di Ernest Renan in Italia (1849-1850). L’intervento ritorna a ribadire l’importanza del primo viaggio in Italia del filosofo di Tréguier per la ‘costruzione’ della sua soggettività. La nostra penisola rappresenta, infatti, il suo incontro con la vita  -ovvero la segreta vita esuberante che è in lui nonostante sia stata sacrificata dall’erudizione-, l’apertura a varie forme di esistenza che non sia quella dedicata interamente alla scienza, agli aridi studi filologici. Nell’idea di varietà ritroviamo il  frammento, il molteplice, la sfaccettatura, il prisma, il parziale e non l’assoluto… ; idea  circolata in questo convegno oltre all’interesse per l’io renaniano autobiografico o autografico che sia. Sui testi auto(bio)grafici come Ernest et Béatrix o Patrice punta l’attenzione Francesco Petruzzelli così come su Averroès et l’averroïsme e sulla corrispondenza, tutti ‘luoghi’, insieme a quelli reali visitati dal viaggiatore al suo primo contatto con l’Italia,  in cui Renan tenta di ridefinire il critico e il filosofo che come l’Ernest della finzione oscilla tra ragione e sentimento. Con Patrice e Averroè Renan mette in scena nel suo teatro interiore le proprie contraddizioni, antinomie e incoerenze. Come è già stato detto, Averroè è senza dubbio uno degli alter ego di Renan, così come i succitati Ernest e Patrice. Lo scrittore si muove nell’entre-deux fra filosofia e auto(bio)grafia, alle quali, nel corso di una remarque, Domenico Paone suggerisce di aggiungere anche il teatro, in cui sono in movimento altrettanti Renan che si rifrangono sulla scena come su altre pagine renaniane. Un movimento causato dalla ricerca, dalla quête verso l’infinito citato nel titolo della relazione, nonché dall’impossibilità di raggiungere il vero e la pace, in quanto quel raggiungimento realizzerebbe il fine della vita stessa.

Il discorso si avvale di riferimenti testuali tratti dai tentativi letterari auto(bio)grafici, dalla corrispondenza, dalle note di viaggio e dalle riflessioni filosofiche del giovane bretone al suo giovanile contatto con l’Italia. Tramite il sistema del reimpiego di frammenti di pensiero, le riflessioni, i sentimenti, le emozioni di Renan sono disseminate nelle lettere di Patrice a Cécile, nei pensieri di Patrice come nelle lettere di Renan e nelle sue note di viaggio.

Nella Bella Italia Ernest Renan passa da un’illuminazione all’altra, e procede a una autocritica spazzando via i pregiudizi: una volta a Roma scrive a Berthelot di non essere più francese. In quella situazione mentale e spirituale, liberata da un eccesso di razionalità, scopre, ad esempio, la poesia di due lucertole che si rincorrono su un muro e insieme la poesia del sentimento religioso: a Santo Spirito si inginocchia e prega, sostituendo alla fede, l’estasi, il panteismo amoroso cristiano. La nuova religione è la poesia. L’autore di Patrice sembra allora del tutto cosciente del fatto che la scienza e la critica procedono contro natura nel momento in cui soffocano la religione e la poesia ad essa collegata. Grazie ai o a causa dei molteplici (di nuovo la molteplicità) impulsi estatici che Renan riceve durante il soggiorno italiano lo statuto del filosofo è rimesso in questione fino a divenire contradditorio. La critica, il laicismo scientifico, i progressi della ricerca lasciano -in maniera anch’essa contraddittoria-  il passo al sentimento religioso che eleva lo spirito e conforta il cuore: in Italia lo statuto del giovane filosofo bretone diventa malleabile, gli permette, cioè, di non rinunciare a nessun elemento dell’umanità e di giungere a mantenere, appunto, le une di fronte alle altre, tutte le contraddizioni. Il vero filosofo sa d’ora in poi che la verità non è assoluta, ma relativa, risiede tutta nelle sfumature (altra versione del molteplice). Renan evidenzia l’opposizione e la parzialità che costituiscono, insieme all’imperfezione, lo spirito dell’uomo così che definire l’infinito, come recita il titolo dell’intervento, risulta un sforzo vano. Citando il Nietzsche del Crepuscolo degli idoli, per il quale Renan è uno spirito che si rammollisce, Petruzzelli sottolinea come sia lo stesso filosofo francese a definirsi debole, condannato a questa debolezza da una natura chimerica che in quanto tale riunisce in sé tanti elementi. L’Italia ha fatto scoprire a un Renan liberato dai pregiudizi questa ‘debolezza’ che nel 1883 Paul Bourget, chiamato in causa da Petruzzelli, definirà eroismo: “Quanto è preferibile l’eroismo di un Renan che si rassegna a subire le conseguenze del suo pensiero e, riconoscendosi incapace di risolvere con una sola formula il grande problema del destino, accetta la legittimità di soluzioni diverse!”

Il penultimo intervento della Giornata è affidato a Domenico Paone, autore di una tesi dottorale -consultabile on line- scritta sotto la direzione di Jacques Le Rider e Giuliano Campioni e discussa nel marzo 2009 all’Ecole pratique des hautes études sulla produzione filosofica, scientifica e letteraria degli ultimi anni di Ernest Renan: Storia, religione e scienza negli ultimi scritti di Ernest Renan. Esperto in genetica dei testi filosofici collabora con l’Institut des textes et manuscrits modernes. Continua i suoi studi immergendosi ancora nei manoscritti renaniani.  La ricerca in questa direzione gli ha permesso di decifrare le discontinuità e le contraddizioni che costellano l’opera di Renan: la prospettiva genetica ha infatti consentito a Paone di cogliere le ambiguità del pensiero del filosofo bretone e in particolare il suo continuo oscillare fra scetticismo materialista e fede spiritualista.

Questo suo lavoro è il frutto di una scrupolosa immagine condotta sulle note e i frammenti manoscritti inediti di Renan conservati nella Bibliothèque nationale de France e presso il Musée de la Vie Romantique a Parigi. Ha portato avanti la sua ricerca di cui ha reso conto in lezioni e conferenze. Nel numero 112, dicembre 2010, del “Bulletin de la Société des Etudes Renaniennes” ha pubblicato un Ernest Renan et la politique impossible. Notes en marge de l’Examen de conscience philosophique.

Attraverso un corpus costituito da lettere, note di viaggio e alcuni articoli tardi Paone ci parla de Les Italies d’Ernest Renan dans le miroir de la multiplicité.

Renan è rimasto otto mesi in Italia fra il 1849 e il 1850. Un periodo che come ribadisce anche Paone ha influenzato fortemente il giovane bretone. L’intervento indaga, inoltre, su tale influenza alla luce di illustri predecessori quali: H. Tronchon, La leçon de l’Italie moderne in Ernest Renan et l’étranger (1928), A. Le Franc, Ernest Renan en Italie (1938); A.-C. Faitrop-Porta, Renan et l’Italie de son temps, in Mémorial Ernest Renan. Actes des colloques de Tréguier, Lannion, Perros-Guirec (1993). In particolare, soprattutto rileggendo l’epistolario tra il 1849 e il 1850 nella recente edizione Champion diretta da Jean Balcou, Domenico Paone attira la nostra attenzione sul mutare dei giudizi di Renan formulati a proposito dell’Italia durante il suo primo soggiorno nella penisola attraverso le sue lettere, le sue note di viaggio e alcuni articoli posteriori alla missione di studio e ricerca nel Bel Paese. Da un pregiudizio globalmente negativo il giovane bretone passa a una situazione d’incantamento davanti a questa terra dell’arte e della passione (Roma) così opposta alla Francia razionale. Partito con l’idea, fondata su considerazioni antropologiche e culturali, di un’Italia divisa in tre (Nord/Centro/ e Sud), si vede costretto a rivedere questa idea a contatto con l’esperienza dell’Italia dei Comuni (la Toscana), con un’altra Italia centrale e settentrionale multiforme (Umbria, Marche, Romagna, Venezia, Padova, Lombardia, Piemonte). Renan lascerà l’Italia, complessa e plurima, con una prova in più della molteplicità del reale. Sarà proprio questa fisionomia composita uno dei motivi del suo attaccamento al nostro paese, alla sua cultura, alla sua storia antica e recente. La molteplicità come il frammento sono consustanziali al continuo movimento che caratterizza il pensiero e l’identità renaniani.

Realizzando un percorso a ritroso dal sud dell’Italia al nord, rispetto all’andamento tradizionale seguito qualche anno prima dalla stessa sorella Henriette, che da Venezia era poi scesa verso Firenze e Roma, o all’inizio del secolo da Madame de Staël, la cui Corinne lo accompagna nel viaggio, Renan entra quindi in contatto con diverse Italie. Ma a distanza di poco tempo Roma non sarà più unica ma almeno duplice: al rientro del papa nella città Renan si trova in presenza di un’altra Roma, simile a Napoli, nella quale la poesia ingenua della religione ha lasciato il posto al selvaggio entusiasmo di donne-baccanti oscene che seguono urlanti il corteo pontificale insieme ad uomini altrettanto osceni che chiedono gridando solo di obbedire a Pio IX. Sull’avvenimento e il cambio di prospettiva da parte di Renan, Paone cita due lettere. Una familiare e meno franca, l’altra più franca all’amico Berthelot, il che riapre la questione del rapporto variabile del mittente con i propri destinatari. Variabili su cui ha richiamato l’attenzione Faitrop-Porta.

Ha chiuso brillantemente la Giornata l’intervento di Anne-Christine Faitrop-Porta  su Renan et les paysages d’Italie, che ci ha accompagnati, incantandoci, attraverso i dieci soggiorni di Renan in Italia  tra il 1849 e il 1881. Ernest Renan percorre la penisola dal sud al nord e in altri momenti dal nord al sud, osservando paesaggi e siti urbani. Il filosofo si dimostra uno scrittore ispirato: dipinge con le parole i monti come volumi penetrati dalla luce; nella descrizione restituisce alle montagne di Assisi e di Monte Cassino la loro religiosa potenza; le pianure riflettono la mistica umbra e il razionalismo toscano. I paesaggi sono individualizzati. Relativismo, anche in questo caso, di visioni e emozioni di fronte a tante Italie (quelle che emergono dalla sua corrispondenza, dai suoi drammi, dalle sue opere filosofiche… ), osservando le quali scopre, oltre al relativismo filosofico che quei luoghi tanto differenti gli ispirano, la libertà dello spirito. Faitrop-Porta focalizza il suo discorso sullo sguardo di Renan che scruta  il paesaggio con gli occhi di un pittore (Faitrop-Porta pensa a Cézanne); uno sguardo fatto di ironia e saggezza certo derivato anche dalla letture che accompagnano  Renan nei vari viaggi: da Dante a Villani, da Petrarca a Machiavelli, da Leopardi a Monti, da Pellico a Beccaria; e inoltre, da Montaigne a George Sand, da Chateaubriand a Byron. Anne-Christine Faitrop-Porta mostra come dietro l’occhio del viaggiatore ci sia non solo uno storico, un filosofo e un filologo, ma anche un pittore e disegnatore. Alcune sue visite sono lezioni di metodo di osservazione come quando raccomanda di visitare oltre il famoso teatro di Taormina le strade medievali della cittadina uscendo così dal luogo comune del turista e trasformando quest’ultimo in un ‘ricercatore’. Sempre in Sicilia guarda dietro le quinte di ciò che gli viene mostrato ufficialmente e si interessa alla vita dei bambini nelle zolfatare. Faitrop-Porta ha riscontrato un metodo con cui il viaggiatore considera gli oggetti che lo circondano: andare oltre i luoghi comuni, i pregiudizi, i canoni stabiliti: “douter et chercher”; rispettare le sfumature. Renan viaggiatore contempla l’esterno con l’occhio dello storico, che studia gli strati della civiltà, del filologo e del filosofo, ma anche del critico, dell’artista, dell’antropologo. La collaborazione con la “Revue des deux mondes”, in cui egli si rivolge a un pubblico più largo, porta alla ribalta un Renan pedagogo e grande volgarizzatore del viaggio in Italia. Attento alla comunicazione con il destinatario, nelle lettere di viaggio avvicina ciò che vede alle conoscenze visive di chi legge; quanto ai giudizi, spesso si contraddice, verosimilmente allo scopo di mettersi a lunghezza d’onda con il lettore. Guardare con gli occhi dell’altro è pura compiacenza o lezione di metodo? Imparare, cioè, a osservare da altri punti di vita? Anche contrari a se stessi? Pedagogia o immedesimazione più o meno ironica, cosciente o inconscia, con l’altro?

La discussione finale ha ripreso i punti forti della giornata: la quête; l’auto(bio)grafia umana e intellettuale; il prisma identitario con le maschere e le controfigure dell’io; la conversione alla poesia della religione e dell’arte cristiana; il frammento e la molteplicità; il movimento che ne deriva;  la modernità dello scrittore di autofictions romanzesche; il teatro dell’io; il genio oscuro; l’attento quanto rarissimo estimatore dell’arte barocca siciliana e della sua sensualità; il fine erudito d’arte “qui brouille les pistes” dei ricercatori (come a ben messo in evidenza Faitrop-Porta), che rivela la sua conoscenza di Sano di Pietro come del Masaccio al Carmine di Firenze o del Mantegna agli Eremitani di Padova  -apparentemente assenti dal suo museo immaginario- solo a chi si attarda nella lettura puntuale, quanto trasversale rispetto all’autore di testi ben più frequentati, delle didascalie del suo teatro nelle quali si descrivono gli abiti di scena le cui fogge devono essere riferite alla pittura di quegli artisti.

Grazie a Emanuele Kanceff avremo il piacere di leggere nella collana del CIRVI (Centro Internazionale di Ricerca sul Viaggio in Italia) gli Atti del convegno[3], del quale ho qui voluto dar conto affinché rimanesse memoria del fatto che questo incontro -che ho definito epocale per gli studi franco-italiani su Renan- è frutto della sinestesia tra Università di Brest, Gabinetto Vieusseux e Amici dell’Istituto Francese, in un’armonia intellettuale che ha trovato il suo luogo rappresentativo ideale nella Sala Ferri.

 

 

Marco Lombardi



[1] Questo testo è apparso su “Antologia Vieusseux”, 51, sett.-dic. 2011, pp. 147-160. Ringraziamo la rivista per averne concesso la pubblicazione in questa sede.

 

[2] A nome dell’Associazione degli Amici dell’Istituto Francese di Firenze e della sua Presidente, la professoressa Maria Luisa Premuda, ringrazio Maurizio Bossi per il suo sostegno in questa impresa e con lui la direzione e tutto il personale del Vieusseux. Un grazie anche alle stagiste del Centro Romantico, Maddalena Mancini e Caterina Rocchi che insieme a Barbara Innocenti dell’Università di Firenze, nonché segretaria dell’AAIFF, hanno curato rispettivamente la pubblicità dell’evento e l’organizzazione di questa importante Giornata internazionale di Studio.

 

[3] Gli Atti sono stati pubblicati nel 2013 a cura di J. Balcou nel n° 105 della Biblioteca del viaggio in Italia/Bibliothèque du voyage en Italie.